
A cura di Roberto Piana
1. La centralità delle “risorse” nella relazione col cliente
Che la centralità delle “risorse umane” sia un dogma nelle aziende ovunque proclamato non è più una novità. Che invece tale centralità sia attuata attraverso momenti gestionali specifici, stabili e coerenti è tutto un altro paio di maniche. In questa breve discussione si intende approfondire una serie di elementi che rifocalizzino un così ampio tema, e possano essere contributo per qualche spunto applicativo nelle nostre aziende.
L’approccio che si intende utilizzare nella nostra analisi prende spunto non tanto dal rapporto tra l’azienda e la “risorsa umana” in sé, quanto piuttosto dalla triplice interdipendenza tra l’azienda ed il proprio mercato di riferimento, attraverso il ruolo che il “collaboratore” assume nella relazione con tale clientela.
C’è sicuramente una forte differenza nei modelli relazionali e commerciali delle diverse aziende, a seconda del settore in cui operano, delle dimensioni e della struttura produttiva e organizzativa. In un mondo, tuttavia, nel quale la prestazione di servizi è rilevante, e la componente relativa alla qualità professionale nel rapporto con il mercato o il cliente diventa fonte di vantaggio competitivo, molte aziende trovano critico stabilire e mantenere una forte relazione con i propri interlocutori esterni.
La domanda che si pone riguarda pertanto chi è depositario della relazione “autorevole” con i clienti.
Se parliamo di grandi aziende a forte contenuto tecnologico (che producono non solo apparecchiature, ma anche impianti e grandi opere) è facile supporre che l’intervento relazionale di un addetto commerciale possa essere meno “emotivo” sul cliente di quanto potrebbe accadere invece in un settore di grande consumo retail dove la clientela sceglie tra prodotti di massa molto simili e poco differenziati basandosi maggiormente sulla “impressione” fiduciariadel venditore. Sta di fatto, comunque, che in entrambi i casi – impianti ad alta tecnologia piuttosto che semplici beni di consumo retail – volutamente estremi, il contatto finaledell’azienda con il cliente passa comunque attraverso questo collaboratore/venditore che in qualche modo interviene nelle scelte del cliente.
Forse apparirebbe più semplice un rapporto con i propri clienti svincolato dall’intervento di un venditore, o meglio ancora una relazione col mercato direttamente gestibile dall’azienda o comunque non influenzabile da persone tra sé e il cliente. Ma che conseguenze si innescano quando il ruolo del Venditore viene alterato?
Pensiamo ad esempio ad attività in cui il venditore fornisce una certa consulenza – ad esempio nella distribuzione di prodotti complessi e tecnologici, come video o computer – e che quindi trova di fronte a sé un cliente che, oltre alla qualità del prodotto, cerca anche un’affidabilità nella guida all’acquisto, una serietà nel competente raffronto dei modelli, una trasparenza nell’analisi delle condizioni contrattuali. Preparare e gestire venditori apprezzati dalla clientela comporta tuttavia un significativo investimento; d’altra parte avere venditori inadeguati genera negativi riflessi sulla relazione, presente e futura, con l’attuale clientela e con quella potenziale.
Come gestire allora in modo adeguato questo rapporto col proprio collaboratore venditore? Se lo si taglia fuori progressivamente dal rapporto con la clientela, ad esempio spostandolo da un punto vendita ad un altro con una certa frequenza e prima che i clienti si “leghino” a lui, si vanifica il suo positivo contributo fino addirittura ad indisporre la clientela che si vede sottratto un utile punto di riferimento.Se invece gli si affida una forte presa sul cliente, si corre il rischio che prima o poi qualche competitor se lo assuma portandosi via anche la clientela.
La questione – come si vede – è molto complessa, e non ci avventuriamo in questa sede ad esplorare tutte le tematiche relative alle cosiddette fidelizzazioni“passive” (vale a dire le iniziative con cui si vincola il collaboratore all’azienda attraverso pattuizioni di non concorrenza, accordi di stabilità, estensioni del preavviso …) e alla “retention attiva” (con la quale il collaboratore è unito all’azienda attraverso percorsi di carriera, incentivi economici di medio periodo, compartecipazione ai risultati …).
Ci interessa piuttosto valutare quanto l’azienda ed il proprio collaboratore siano tra loro connessi nella relazione con la clientela, o con il mercato di riferimento. Spingiamoci ancora più oltre e chiediamoci in quali forme viene definito chi “detiene” la relazione con il cliente, e quale messaggio l’azienda passa al mercato.
2. Testimonial della credibilità aziendale
Una prima riflessione è data dal meccanismo con il quale alcune aziende esprimono la propria identità e cultura commerciale attraverso la visibilità diretta dei propri collaboratori. Collaboratori che “giocano il proprio volto” nella relazione con il cliente, ponendosi nel ruolo di “garanti” dell’azienda. Questo aspetto è espresso nella pubblicità e nella comunicazione commerciale attraverso i cosiddetti testimonials.
Proviamo a pensare ad esempio alla pubblicità delle banche e delle società di servizi finanziari.Tutti ormai restano scettici e diffidenti quando vengono presentate affascinanti sportelliste o impeccabili addetti ai mutui, che si rivelano dopo qualche secondo essere improbabili attori che nulla hanno a che spartire con la vera natura della banca. Ma proviamo invece a ricordare gli spot pubblicitari della Gialappa’s di fronte a divertiti ma genuini bancari di Intesa SanPaolo: che testimonial sono questi dipendenti? Passano sicuramente un messaggio di vicinanza e prossimità al cliente.
Un messaggio di simpatia e di possibile confidenza con la banca attraverso la loro semplicità. Sono testimonials di una gigantesca azienda che intende stabilizzare la relazione col cliente attraverso un rapporto amichevole con i propri addetti commerciali, disposti a sghignazzare un po’. È evidentemente un messaggio rivolto ad una clientela affezionabile, che non gioca su elementi seriosi di tecnicità, di esclusività, di compassata tradizione o di glamour internazionale.
Altre banche – poche per la verità – si giocano la propria identità verso i clienti attraverso il volto dei propri uomini, mettendo in campo non i giovani della rete territoriale, ma addirittura la prima linea manageriale o addirittura lo stesso Capo e Fondatore, come negli spot di Mediolanum, dove Ennio Doris si rende direttamente e personalmente garante dell’affidabilità aziendale, dando la percezione del carisma innovatore sulle rassicuranti melodie di un jazz raffinato. Un testimonial diretto e autorevole dell’identità aziendale, come lo sono in altri settori Giovanni Rana o Francesco Amadori.
Testimonial tra i dipendenti sono presenti anche in un’altra relazione: non solo con i clienti ma più sovente nei confronti dei potenziali candidati o possibili collaboratori. È il canale offerto dal website aziendale nella ormai celebre sezione “lavora con noi”. Come può un giovane neolaureato o un professionista junior avere una realistica percezione delle opportunità lavorative che una grande banca può offrire? E quanto concretamente “vissute” nel quotidiano saranno le prospettive di carriera dichiarate dall’azienda?
Ecco allora comparire nel website aziendale brevi filmati di veri dipendenti – solitamente già abbastanza affermati nel proprio percorso di carriera – che raccontano il proprio ruolo e l’esperienza svolta in azienda. Anche loro quindi si rendono garanti dell’identità professionale dell’azienda, conferendo credibilità al messaggio pubblico. Quando si passa una comunicazione della propria identità e mission alla clientela di riferimento attraverso il volto dei propri lavoratori, quali tipologie di testimonial vengono utilizzate? E ciò dipende dalla struttura e dal settore in cui l’azienda opera?
Certamente messaggi e testimonial variano a seconda della tipologia aziendale, ed è difficile ripartirne le caratteristiche in categorie organicamente distinte. A titolo comunque di approssimazione, può essere interessante provare a raffrontare i testimonial riferibili a tre tipologie di azienda, vale a dire:
- il grande conglomerate;
- il laboratorio;
- la boutique;
Per “grande conglomerate” intendiamo Gruppi di vaste dimensioni, sovente multinazionali, operativi in vari settori e con forte impatto sociale. Ad esempio Società di Energia, Utilities, o Infrastrutture; nella nostra realtà locale pensiamo a ENI o ENEL.
Se ricordiamo alcuni messaggi pubblicitari, vi compare l’omino che ripara la centralina e restituisce l’illuminazione al piccolo paesino di montagna, andandosene umile e dimesso ma soddisfatto della gratitudine della gente; oppure i generosi manovali in canottierina che scalzi posano i cavi delle condutture in riva al mare. Saranno davvero operai di quei Gruppi? Probabilmente no, ma è interessante valutare che messaggio questi testimonial passano: siamo qui a tribolare per voi cari clienti, per darvi luce ed energia, e non soltanto per un business ma anche per una missione sociale.
Tutta questa umile dedizione porta a considerare ENI o ENEL non come Gruppi aziendali ma piuttosto come strutture fortemente dedicate al servizio del pubblico. A volte quasi fossero Enti no-profit nei quali non ci sono lavoratori ma generosi volontari. Poi capita di sfogliare i bilanci ed anziché l’otto per mille delle Onlus si trova che ad esempio nel 2009 hanno registrato utili l’una per 4.8 e l’altra per 5.4 miliardi di euro, quindi con un certo orientamento ai risultati reddituali. Se si pensa invece alle aziende che si connotano come “laboratori”, qui l’identità aziendale gioca tutto sulla innovazione tecnica e sulla ricerca al servizio dei clienti. Un esempio interessante di testimonial per queste aziende-laboratorio è forse il medico della Sensodyne, che con rassicurante responsabilità ci avverte della assidua battaglia scientifica a difesa dello smalto dei nostri denti. Non ci sono sorrisi nella comunicazione del testimonial, solo seria e affidabile attenzione alla nostra salute. Ancora più sorprendente è la visita al website aziendale di Sensodyne, del tutto simile anche nelle versioni britannica e americana: solo indicazioni scientifiche,testimonianze di medici e odontoiatri, prevenzione e ricerca.
Assolutamente didascalica è invece la comunicazione della “boutique”, cioè dell’azienda ad altissimo contenuto qualitativo e forte personalizzazione del servizio su prodotti mai standardizzati. Per tale comunicazione non sorprende che rarissimi siano i testimonials tra i lavoratori, in quanto la stessa comunicazione è solitamente molto discreta, sottovoce, sobria, riservata. La “boutique” si connota per il prestigio di una qualità consolidata nel tempo, senza necessità di ri-affermarla continuamente in quanto già in qualche modo riconosciuta.
Forse i testimonials caratteristici di una “boutique” sono alcuni maestri orologiai che compaiono sulla stampa specializzata, oppure gli enologi di qualche Cantina prestigiosa che raccontano la dedizione nel produrre un vino dalla profonda tradizione. Nel caso della boutique, un elemento di forte identificazionedel lavoratore nell’immagine aziendale è favorito dalle contenute dimensioni della struttura operativa di cui è parte, anzi protagonista.
3. Piccolo è bello, responsabilizzato è meglio
Proprio il tema delle dimensioni aziendali sembra uno dei più decisivi per attuare efficacemente la centralità del lavoratore attraverso la relazione con il cliente. Il lavoratore-testimonial incide direttamente sul rapporto fiduciariocon il cliente in quanto – come detto – protagonista convinto della comunicazione in cui si rende garante della credibilità aziendale. Dimensioni operative contenute, servizio personalizzato, adattabilità ai fabbisogni del mercato sono tutti elementi che rendono il lavoratore responsabilmente coinvolto nelle funzioni che si trova a svolgere.
Ma, qualora le dimensioni della struttura aziendale non siano così concentrate, ed il servizio alla clientela non sia tipicamente quello della “boutique”, come può essere realizzabile una forte centralità del lavoratore? Tra le varie leve gestionali, una delle più efficacisembra una ampia attribuzione di facoltà operative. Il coinvolgimento responsabile e la profonda identificazionecon le strategie aziendali nella relazione con il cliente trovano efficacerealizzazione quando al lavoratore vengono attribuiti obiettivi convintamente condivisi e viene conferita concreta autonomia nel raggiungerli. Una più dettagliata analisi di tali metodologie gestionali potrà essere specificamentetrattata in successive ricerche, come contributo alla rifocalizzazione del “senso del lavoro” che la nostra realtà richiede.
In sintesi dunque, la riconquista della centralità della “risorsa professionale” la si gioca attraverso il rapporto con la clientela ed il mercato di riferimento. Al di là delle vistose forme di comunicazione aziendale attraverso lavoratori-testimonials, variamente utilizzati a seconda della tipologia e dell’immagine operativa, due sembrano i fattori più direttamente gestibili per avere un convinto ruolo da protagonisti per i propri collaboratori: la dimensione specificadella struttura operativa e la simultanea attribuzione di obiettivi ed autonomia operativa individuale.
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