
La storia dell’automobilismo sportivo è ricca di marchi famosi, creati e sviluppati dal genio di un supertecnico, svaniti nel nulla (o acquisiti da altri a seguito di un periodo di crisi) perché non sono stati in grado di realizzare il salto di qualità necessario a garantire la continuità oltre la vita del fondatore. La storia della Lotus di Colin Chapman ne è un tipico esempio, mentre la Ferrari è forse la più celebre eccezione.
Una storia molto speciale e di successo è quella di Dallara, una piccola realtà tutta italiana, le cui auto corrono tutto l’anno in ogni parte del mondo e il cui nome e capacità tecnologiche sono conosciuti e apprezzati in tutto il mondo delle corse.
Gian Paolo Dallara, ingegnere aeronautico, fonda la Dallara Automobili nel 1972 a Varano de’ Melegari vicino a Parma in Emilia Romagna, in una regione che da sempre respira aria di corse: nei dintorni ci sono la Ferrari, la Ducati, la ex Minardi e il circuito di Imola. La missione non poteva che essere quella di progettare e costruire auto per le principali formule dell’automobilismo sportivo. Questo è quanto Dallara ha realizzato con successo a partire dalla la prima F3 progettata nel 1978 (nel segmento Dallara è oggi leader indiscusso), per proseguire con la Indy (vinta nel 1999 e 2006), le World Series, Le Mans, GP2 (2005), GP3 (2009) e, naturalmente, la F1 (Scuderia Italia nel 1988, Honda F1 nel 1998, Campos/HRT nel 2009). Molti piloti famosi hanno corso con auto costruite o equipaggiate da Dallara: Wurz, Fisichella, Trulli, Heidfeld, Webber, Button, Liuzzi, Kovalainen, Kanaan, Rosberg, Kubica, Hamilton, Sutil, Franchitti, Dixon, Glock.
I principali costruttori di auto hanno lavorato con Dallara: Ferrari, Lancia, Bugatti, Honda, Audi, Toyota, Maserati. In pochi sono però a conoscenza di come Dallara abbia accuratamente pianificato la propria continuità, realizzando un modello che altre piccole realtà del mondo delle corse potrebbero ripercorrere.
La chiave per garantire nel tempo la continuità di un percorso di crescita e di successo sta in un matrimonio molto particolare, quello tra Dallara – intendendo con questo termine Gian Paolo Dallara, la sua azienda e la sua famiglia – e l’ex CEO di IBM Italia, Andrea Pontremoli. Quando fu annunciato, in molti hanno giudicato questo matrimonio molto strano, se non impossibile.
L’intervista ad Andrea Pontremoli, realizzata per Pitpass, uno dei più noti siti inglesi di F1, mira ad evidenziare un possibile modello di sviluppo per molte piccole-medie industrie che operano nell’automobilismo e nell’industria delle corse, oltre a cercare di valutarne l’impatto sul ruolo di Dallara nel settore dell’automobilismo. Prima di tutto, è però importante capire e conoscere l’uomo che ha reso possibile questo matrimonio.
P&M: Quali elementi sono alla base del suo percorso da manager a imprenditore?
Certamente non influenze di natura familiare, anche se da mio padre, che faceva il mugnaio, ho assimilato un grande valore, che tutto quello che hai te lo devi guadagnare imparando e lavorando. Diciamo che c’è un’innata curiosità intellettuale, che ha trovato modo di estrinsecarsi, strutturarsi e svilupparsi grazie anche alle tante opportunità di crescita culturale e intellettuale che gli anni in IBM hanno reso possibile (es. Cambridge, MIT
P&M: Quali competenze e qualità per essere un imprenditore di successo?
Sono sostanzialmente convinto che le competenze si costruiscano con tempo: in questa logica si inquadra il Master che dirigo a Bologna e che si indirizza soprattutto alle PMI. Parlando di qualità, potrò sembrare anacronistico, ma ritengo che pesino molto più quelle morali ed etiche di quelle fisico-pratiche, che l’imprenditore deve essere capace di trasferire alla sua azienda.
In Dallara ho avuto la fortuna di trovare questi principi: l’azienda come valore da preservare e aumentare nel tempo, con la coscienza e la consapevolezza di essere un “pezzo” del passaggio; la presenza di valori personali forti, e particolarmente necessari in un periodo di crisi, quali la solidarietà e la generosità.
Soprattutto l’imprenditore deve saper essere un leader: se il manager deve essere bravo a spingere, l’imprenditore deve essere bravo a trascinare.
P&M: Imprenditore – manager – dipendenti: come creare un circolo virtuoso?
“Fai quello che dici di fare”, in buona sostanza “dai l’esempio”. Sembra banale, ma sta tutto in quelle parole. Se l’imprenditore è capace di trasmettere questa filosofia alle sue persone, queste a loro volta la fanno propria e le danno forza con il loro esempio e il loro lavoro, dando avvio ad una spirale che non può che essere positiva.
P&M: Domanda d’obbligo e che le avranno fatto già tante volte: quali indicazioni per le giovani leve?
I giovani stanno imparando a proprie spese che il mondo attuale è sempre più incerto e caotico, ma che soprattutto cambia in maniera sempre più veloce e meno prevedibile. Pensare quindi di costruire il proprio percorso cercando di immaginare e prefigurare cosa avrà successo domani è sostanzialmente impossibile: non resta che una via, seguire la propria passione e svilupparla nel tempo. Solo così è possibile aumentare la propria probabilità di successo, peraltro con un livello di “divertimento” certamente maggiore.
P&M: E per le PMI?
Anche per loro vale lo stesso discorso. Devi essere capace di distinguerti, lo “anch’io” non funziona, anche perché troverai sempre il cinese di turno con cui non potrai competere. È esattamente quello che facciamo in Dallara: tre cose sappiamo fare e su quelle tre cose vogliamo essere i migliori al mondo, investendo e reinvestendo su di esse per poter contare su un know how sempre più unico e sempre più distintivo. Se sei una PMI e hai risorse limitate, non puoi pensare di fare tutto: se ti chiedono cosa fai, e per rispondere ti ci vogliono più di 15 secondi, vuol dire che hai un problema…
P&M: Ingegner Pontremoli, quale parola userebbe per sintetizzare e far comprendere al pubblico il significato di questo matrimonio?
La parola, il concetto chiave è il territorio, inteso in tutte le sue sfumature: la passione innata per le corse, la diffusa imprenditorialità che si realizza attraverso un’ampia rete di piccole e medie imprese, l’innovazione e la tecnologia.
Provengo dalla stessa regione ed è fuor di dubbio che io ami la tecnologia. Sono stato però anche attratto dall’opportunità, come azionista di Dallara, di far parte di questa comunità di imprenditori, per i quali ho sempre nutrito un genuino interesse.
Sono infatti uno dei padri, e l’attuale direttore, del Master Executive in Innovazione e Tecnologia presso l’Università di Bologna. Come parte di questa comunità ho quindi a cuore i nostri fornitori che stanno crescendo con noi: è un po’ il nostro modo di intendere il concetto di CSR, di responsabilità sociale d’impresa.
Superfluo dire che la chimica personale con il fondatore funzionava già bene, dopo essere stata testata in una sorta di lungo corteggiamento: già da alcuni anni Dallara mi solleticava sul suo bisogno di una persona capace con la quale gestire il delicato tema del passaggio generazionale, non verso la prossima, bensì verso la generazione successiva.
Abbiamo anche scoperto di essere fortemente complementari: Dallara ama la tecnica in tutti i suoi aspetti, fino al più piccolo dettaglio, e di questo tende ad occuparsi, in un contesto però ben organizzato e in crescita dove io mi occupo di questioni “banali” come la pianificazione, il personale e le problematiche economico/finanziarie.
P&M: Dallara può essere considerato come il prototipo della tipica PMI italiana che, ad un certo punto del suo percorso di sviluppo, necessita di elevate competenze manageriali…
Senza dubbio: uno dei tipici punti deboli di molte piccole medie aziende nel campo dell’automobilismo, e non solo, è proprio la mancanza di management di elevato spessore e seniority necessario per consolidare una crescita basata sull’intuizione dell’imprenditore, normalmente un tecnico entusiasta, e per gestire la transizione da un artigianato di alto livello ad una impresa industriale e dare continuità al business.
Competenza e know how illimitati: sono dei veri e propri geni. A loro volta, in me hanno trovato una persona capace di aiutarli, sostenerli e che non sia in concorrenza con loro. È stato un piacere unirsi al gruppo.
Ho trovato anche un ambiente nel quale il passaggio dalla decisione all’azione è molto breve e rapido: il nuovo simulatore di guida (vedere la domanda successiva per maggiori dettagli) è stato discusso con il Signor Dallara in non più di mezz’ora. Infine, è emozionante sapere che ogni fine settimana oltre 300 auto Dallara corrono in ogni angolo del mondo.
P&M: Quindi la visione strategica che ha acquisito nei suoi anni in IBM è molto importante…
In queste situazioni è fondamentale una strategia a lungo termine. Oggi Dallara è leader mondiale della costruzione di automobili da corsa, operando in una nicchia di mercato nella quale si possono identificare tre aree principali:
- Aerodinamica;
- Progettazione e design dei materiali compositi;
- Modelli di simulazione: per i non tecnici, possiamo descriverle come modelli matematici capaci di prevedere il tempo sul giro.
Abbiamo due gallerie del vento, che lavorano su modelli in scala 50% e, la più recente, 60% della dimensione reale delle vetture. La nostra principale area di investimento è oggi un simulatore di guida completamente innovativo che può essere visto come la naturale evoluzione della modellazione matematica.
Nel settore esistono già eccellenti simulatori tradizionali: ad esempio, quelli di Ferrari o di McLaren sono stati concepiti per permettere l’allenamento del pilota su nuovi percorsi o addirittura su percorsi sconosciuti. Il simulatore Dallara rappresenterà un punto di svolta tecnologico perché permetterà lo sviluppo di un’auto completamente nuova: lo scorso anno la vettura di F3 è andata in produzione direttamente a partire dal modello matematico e senza alcun test; la stessa cosa è stata fatta con la Campos F1. Tutto ciò dà al costruttore la possibilità di testare e validare in maniera molto efficace dettagli importanti, come ad esempio il comportamento della vettura quando il baricentro viene abbassato.
È un modo di pensare completamente nuovo: il simulatore sarà per le la modellazione numerica delle vetture ciò che la galleria del vento rappresenta per i modelli di CFD (fluidodinamica computazionale).
P&M: Toyota ha recentemente proposto servizi per certi versi simili a quelli offerti da Dallara: una struttura di consulenza tecnologica, con capacità CFD, due gallerie del vento e un simulatore di tipo classico. La sua valutazione?
Oggi sono certamente un concorrente, ma non va dimenticato che un fattore chiave di successo è il mantenimento del livello di competitività nel tempo. Per Dallara, il fatto di lavorare con tante aziende clienti, molto diverse le une dalle altre e che quindi permettono un efficace trasferimento di conoscenza, è un fattore vincente
Altri due fattori, in aggiunta a quanto indicato da Andrea Pontremoli, possono giocare a favore di Dallara:
- Essere una piccola azienda, per giunta romagnola, piuttosto che una business unit relativamente importante all’interno di un grande gruppo multinazionale, significa un livello totalmente differente di dedizione da parte delle persone che vi lavorano. Ritorna il tema dell’amore innato per il motorismo diffuso in tutta la regione, molto simile a quello spirito quasi unico che in tanti chiamano, in senso positivo, la “malattia Ferrari”.
- Il secondo è racchiuso in una domanda posta da una delle principali riviste italiane di automobilismo: non è che questo sia per Toyota un modo per riciclare materiale e forza lavoro (circa 200 persone) rimaste dopo la decisione di chiudere l’esperienza in F1?
P&M: Come manager responsabile dei risultati aziendali, lei è sempre stato molto attento al tema del controllo dei costi. Alla luce di ciò, come valuta le recenti decisioni in tema di taglio dei costi nel mondo della F1?
Come manager Buona idea, ma applicata in maniera scadente. Ci sono fattori che possono comportare un vantaggio immediato senza troppi bizantinismi, come ad esempio la messa la bando di materiali costosi come il titanio o la standardizzaziome dei sistemi di controllo elettronico.
Credo anche che la F1 dovrebbe trovare un modo per esportare la tecnologia dalla pista alla strada: in questo Ferrari è un ottimo esempio, se pensiamo alle recentissime evoluzioni nelle sue auto stradali (il KERS, la tecnologia bi-fuel).
L’aumento dei costi è una conseguenza diretta e naturale della concorrenza. Le regole dovrebbero definire il giusto ambito di controllo: si possono ad esempio ottenere vetture molto più efficienti se si decide la quantità di carburante disponibile.
P&M: Qual è la sua impressione globale sulla F1?
Se ne fossi l’organo di governo, non sarei affatto felice della costante perdita di fascino che la F1 sta avendo sul pubblico. La differenza con il concetto americano è allo stesso tempo stridente ed illuminante: mentre negli USA si impiega la tecnologia per creare spettacolo, nella F1 i team combattono una dura battaglia tecnologica condita da un po’ di spettacolo. Lo si nota da tanti piccoli dettagli, come la sessione dedicata agli autografi che negli USA è un momento sacro e irrinunciabile; il DTM (il campionato turismo tedesco) e il Superbike (mondiale moto derivate di serie) sono anch’essi esempi positivi di ciò che sto dicendo.
P&M: Alcuni vedono il vostro coinvolgimento in Campos/HRT come un possibile test per un futuro diretto coinvolgimento nella F1…
Questo aspetto non fa parte della nostra strategia
P&M: Come vede i nuovi team da poco entrati in F1?
La generale riduzione dei costi abbassa la soglia di ingresso in F1, permettendo perciò l’ingresso di team cosiddetti minori: aspetto certamente positivo in sé, anche se il punto chiave resta l’aumento dello spettacolo, una volta era parte integrante delle corse. Gli americani hanno adottato un approccio molto semplice: abbassando i costi di una stagione di formula NASCAR a 60 milioni di dollari l’anno, portano in pista 50 vetture. Forse sono troppe, ma questo è parte della loro “cultura del rodeo”, nella quale hanno sostituito i cavalli con le auto. In Europa direi che c’è una vera e propria cultura dell’automobilismo sportivo e delle corse: le iniezioni di nuovi capitali da parte di nuovi paesi (India, Cina) sono un fatto positivo per la diffusione di questa cultura
Andrea Pontremoli
Andrea Pontremoli, CEO e General Manager di Dallara Automobili, è entrato in IBM nel 1980 come Hardware Customer Engineer ricoprendo incarichi di crescente responsabilità manageriale nell’ambito del marketing e dei servizi.
Dopo alcune esperienze all’estero, nel 2001 torna in Italia per assumere l’incarico di General Manager IBM Global Services South Region.
Nel 2004 è nominato Presidente e Amministratore Delegato della IBM Italia.
Nel 2006 riceve l’onorificenza di Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Dal novembre 2007 è socio e Amministratore Delegato di Dallara Automobili. Insignito della Laurea Honoris Causa in Ingegneria Informatica presso l’Università di Parma, Andrea Pontremoli vanta numerosi incarichi in organi di rappresentanza.
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